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Addio Garibaldi, il teatro se ne va |
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Anno Domini 1905. La guida (in forma epistolare) Acqui. Terme e dintorni (edita per i tipi di Righetti), opera postuma del maestro elementare Angelo Marengo, non nega una genesi difficile. Pensare che siamo a sei anni dall'inaugurazione (primo aprile 1899: certo, che data tutto sembra esser scritto sin da principio ) e il teatro non è ancora concluso. Tormentosa la nascita, altrettanto la morte. Perché di morte si sta trattando. Un'agonia. Povero Garibaldi! Non sarà stato il miglior teatro del mondo, ma della Provincia uno dei primi. Certo, giovane, nessun atto di battesimo Settecentesco, ma ben costruito, sala armoniosa, con i suoi tre ordini di palchi, con i suoi tre settori che s'aggiungevano alla platea. "Lire 2 per le poltroncine; 1,50 per il palchettone; una lira per un posto di galleria; gradinata 60 centesimi; loggione 30": settori e prezzi per un concerto di beneficenza tenuto dalla Banda acquese nel 1901. Solo il palco, dietro un boccascena impressionante, denuncia spazi angusti che fecero piovere tante critiche. Lì la pecca più grossa. Dieci metri in più di profondità e, forse, non staremmo a parlare di morte del Garibaldi. Entrare durante i lavori di smantellamento fa venir il magone. Anche perché, con la storia che forse per l'ultima volta ci metti i piedi, senti il bisogno di esplorare ogni metro quadro. Due ore tra i ricordi e montagne di polvere. Due ore per immaginare il teatro, splendido, nelle età più lontane, mentre ora sei accerchiato dalle prime macerie, avvolto da una semioscurità (i lavori son agli inizi e procedono più all'esterno che all'interno). Un pellegrinaggio alla Gerusalemme in mano turca. Cento anni di storia cittadina cancellati in poche settimane: qui diresse il M° Vigoni la sua Ginevra; il tenore acquese Luigi Montecucchi che canta il Faust, qui i saggi di musica per finanziare la colonia Alpina e quella Marina, i bravi dilettanti di ogni generazione; un ininterrotto alternarsi delle compagnie di prosa, di illusionisti e giocolieri, di commedianti del dialetto; riunioni e adunanze, la gente che si spella le mani nel 1913 per applaudire il nuovo maestro della scuola di musica municipale, il violinista Angelo Bisotti, che esegue il Mosè, ad una sola corda, di Paganini; Franco Cazzulini e Angelo Tomba che trepidano e si emozionano vedendo il direttore (e amico) Franco Ghione che attacca le prime battute della Quinta di Beethoven, e insieme ricordano Tullio Battioni che al direttore di oggi, impacciato scolaro, aveva messo in mano per la prima volta strumento e archetto
(G.Sa) |
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