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Quel Garibaldi sventrato

 
Acqui Terme. Riceviamo e pubblichiamo:

Politeama Garibaldi - Acqui Terme"Ad Acqui, in occasione delle festività di San Guido, svoltando un angolo dietro casa di mia madre, mi è apparso il Politeama Garibaldi sventrato: un taglio netto al posto del palcoscenico e la sala che gridava il suo dolore impotente dai palchi e dalle gallerie sbreccate; più efficace di qualunque protesta di qualunque comitato, più emblematica di qualunque denuncia, più inquietante di qualunque incubo, quella visione andrebbe consigliata al Ministero dei Beni Culturali per inculcare nei bambini italiani l'orrore per la devastazione legalizzata del nostro patrimonio.
Non ci sono colpevoli, infatti: dopo anni di polemiche, tutto è compiuto in perfetta regolarità e, quando saranno pubblicate queste righe, il Garibaldi non ci sarà più.
Sono tornato più volte, in via Trucco: ho preso fotografie ed è successa una cosa singolare. Ogni volta che tornavo, c'era qualcuno fermo come me a guardare, incredulo: gente che esprimeva sentimenti di indignazione, di rabbia, di ribellione.
Eppure io ricordavo che, anni fa, chiamati alle urne per un referendum consultativo, gli Acquesi avevano risposto tiepidamente, un venti per cento era andato alle urne, e quell'esito aveva rinvigorito le muscolari ragioni di chi voleva l'abbattimento.
Che cosa succedeva allora, improvvisamente? Una cosa molto semplice e importante: lì, dal palcoscenico, la gente riscopriva che cos'è un vero teatro; un luogo, cioè, dove non si va soltanto a vedere uno spettacolo ma anche a guardare se stessi, spiando gli altri spettatori che guardano, a loro volta, noi.
E quindi tutto diventa spettacolo, quel rito collettivo e sociale che chiamiamo, appunto, il teatro. In qualche luogo del mondo, là dove esiste una sala all'italiana, cioè a ferro di cavallo o a emiciclo, questo fenomeno avviene meglio.
Di solito, chi ce l'ha quelle sale, se le tiene care; chi le ha avute distrutte, le ricostruisce maniacalmente uguali, come i Milanesi e i Veneziani. Quei teatri lì, sono fatti come i parlamenti; la gente ci va per partecipare e rappresentare una comunità, mica solo per guardare.
Ma ad Acqui, dice chi se ne intende, non c'era la Scala o la Fenice, il Garibaldi non è una sala all'italiana; è un politeama del 1900, uno di quegli edifici inventati dalla Belle Epoque "adatto a molti generi di spettacolo", secondo il significato etimologico della parola; la Soprintendenza ha decretato che si può far fuori ("era già stato ritoccato negli anni quaranta", impagabile la giustificazione: non ci sarebbe niente di difendibile in questo mondo che cambia da quando esiste); e si era nel tempo autorizzata una serie infinita di aggressioni agli arredi, ai tendaggi, a quelle meravigliose bacheche metalliche a forma di pellicola che chissà dove saranno finite.
Con l'edificio ridotto al solo volume architettonico, le ragioni in favore dell'abbattimento risultavano mellifluamente più convincenti: costerebbe troppo un restauro, hanno sbagliato gli altri a non comprarlo prima, un parcheggio fa guadagnare più soldi, ci sono già l'Ariston e il Verdi (cioè due negazioni di un buon teatro).
Ma ahimé! nessuno sfugge alle trappole dell'inconscio e l'improvvido capo cantiere che ha cominciato l'abbattimento del palcoscenico, lasciando in piedi la sala così a lungo, ha fatto riscoprire agli Acquesi che cos'è un teatro vero e perché sia così importante: tutti arrivavano e ricordavano di aver baciato nella seconda galleria la prima ragazza della propria vita o di aver visto Macario più volte o di aver partecipato a veglioni memorabili tra pioggia di coriandoli d'oro che scendevano dai palchi. E io, che da una famiglia molto austera sono stato tenuto lontano dai veglioni, dilatavo i racconti che ascoltavo in leggende felliniane.
Tutti gli Acquesi che sono passati dal Garibaldi sventrato si sentono oggi defraudati; e gli sconfitti sono molti: io, prima di tutti, che mi sono impegnato nel Comitato per la difesa del Garibaldi e non ho convinto la maggioranza dei miei concittadini; l'amministrazione attuale che ha ereditato una decisione sbagliata dai predecessori e non ha saputo affrancarsi e trovare una soluzione; l'opposizione che non è riuscita a scrollare dalle sue proteste il sospetto di strumentalizzazione; Italia Nostra, nella quale milito da trent'anni, inspiegabilmente afasica su tutta la vicenda; la Soprintendenza, utile foglia di fico per gli speculatori e gli amministratori; e infine gli Acquesi tutti, che non sono andati a votare e che adesso piangono il loro ultimo teatro.
Restano alcune foto: le metto a disposizione di quegli insegnanti che vogliano raccomandare ai ragazzi di essere meno rozzi di noi".

Beppe Navello

 

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